Erano arrivate subito dopo la Pasqua.

La nostra appena trascorsa, la loro lì da venire.

Impaurite, di poche parole.

Scappate dalla paura.

Una mamma e una figlia. Il padre in patria.

Una divisione, causa di apprensione.

Lei sempre al telefono.

La figlia, tutta presa da una giovane gattina.

Una grande casa le accoglieva e le avrebbe accolte.

Senza limiti di tempo e di affetto.

Arrivò il caldo, quell’anno in anticipo.

Poi la fine della scuola.

Il caldo rallentava il Covid e stemperava gli echi della guerra.

Tornare pareva un’opzione plausibile. A loro.

Inconcepibile pazzia per chi le ospitava.

Le bombe ripresero a cadere.

Perché rischiare? Con quali garanzie?

La logica non faceva una grinza.

Tentarono di convincerle.

Loro, irremovibili, comprarono i biglietti.

Per un viaggio infinito in pullman e poi a piedi.

Lui, in quella casa ci aveva fatto l’ufficio, da quanto il padre se n’era andato.

Una ampia taverna fatta a ufficio. Moderno.

Accanto la sua stanza da ragazzo.

Arrivava la mattina, se ne andava la sera. Loro educatamente salutavano.

A volte condividevano il pranzo.

Insieme alle bombe tornò anche il Covid.

E lui non se lo fece scappare.

Quella taverna, da ufficio a sanatorio.

Da solo con i suoi pensieri, il suo star male.

Un ambiente familiare, nulla da dire.

Ancor più amorevole per le attenzioni di sua madre.

Le stesse che garantiva alle giovani profughe.

Era un martedì, che divenne mercoledì e via via domenica.

Una faticosa attesa di diventare negativo.

Avrebbe potuto starci settimane.

Avrebbero potuto fermarsi ancora.

A lui non mancava nulla.

A loro non mancava nulla

Il tutto visto con gli occhi degli altri.

Costrizioni di clausura li perseguitavano.

Crescente la voglia di scappare, uscire, tornare a casa.

La sua, la loro.

Fatte le debite proporzioni, capì e le lasciarono partire.

Nonostante la logica.

Nonostante l'affetto che ormai li legava.


Foto e testi di Andrea Dell'Orto

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